Varie

QUESITO

Si chiede se, un genitore con un figlio di età inferiore ai 3 anni, debba fare la convalida in ITL nel caso di modifica consensuale tra le parti della scadenza del termine inizialmente fissato in un contratto a tempo determinato.

RISPOSTA

Secondo l’art. 55 comma 4 del d. lgs. 151/2001 “la risoluzione consensuale del rapporto o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento, o, in caso di adozione internazionale, nei primi tre anni decorrenti dalle comunicazioni di cui all’articolo 54, comma 9, devono essere convalidate dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio.  A detta convalida è sospensivamente condizionata l’efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro”. La ratio di tale disposizione normativa è quella di garantire la “genuinità del consenso” prestato dal genitore, sia in caso di risoluzione consensuale del rapporto, sia in caso di dimissioni presentate unilateralmente al proprio datore di lavoro.

Nel caso prospettato, il rapporto di lavoro si risolve prima della scadenza naturale del termine previsto al momento della stipula del contratto “per modifica consensuale del termine inizialmente fissato”. Si ricade dunque nell’ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto soggetta anch’essa, secondo la norma citata, a convalida da parte della competente ITL.

Solo per completezza si precisa che nel modello ministeriale ad uso degli ispettori per la convalida delle dimissioni si parla di “DICHIARAZIONE DIMISSIONI/RISOLUZIONE CONSENSUALE LAVORATRICE MADRE/LAVORATORE PADRE”.

Commissione dell’1/06/2017

 

Quesito: Dimissioni nell’ambito del rapporto di lavoro domestico

Come ci deve comportare nel caso di dimissioni di una badante convivente che lascia immediatamente l’abitazione/luogo di lavoro? Dove deve essere inviato l’invito per la convalida delle dimissioni?

Risposta

Per il principio di correttezza e buona fede, l’invito per la convalida delle dimissioni deve essere inviato all’ultimo domicilio conosciuto dal datore di lavoro, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 20, della legge n. 92/2012.

Commissione del 16/12/2013

 

Quesito: Socio di Snc e rapporto di lavoro subordinato

Una società Snc operante nel commercio all’ingrosso di ferramenta  risulta  composta da 5 soci:

–     2 soci hanno una quota sociale complessiva del 40% e sono anche amministratori;

–     1 socio con una quota del 25% è iscritto come collaboratore all’Inps;

–     1 socio con una quota del 25% è non operativo (fa la casalinga);

–     1 socio con una quota del 10% risulta tutt’ora  dipendente di detta Snc.

La circolare Inps n. 117 del 21.6.1983  esclude la sussistenza di  rapporto di lavoro subordinato per i soci amministratori di snc  o per i soci accomandatari di sas, mentre mi sembra possibilista a determinate condizioni, nel caso di soci non amministratori, come nel  caso in esame.

Andando nello specifico e a completamento dell’informazione si precisa che la Snc in questione attualmente ha  9 dipendenti e che  questo  dipendente- socio è stato assunto nel 2000 ed è entrato come socio nel 2010 con una quota del 10%.

Le sue mansioni all’interno della società  non sono cambiate con la qualifica di socio perché continua ad occuparsi  di ordinativi di merce, di bollettazione,  fatturazione , di pagamenti e incassi  di fornitori e clienti, in altre parole continua a svolgere il lavoro di sempre.

Nell’ufficio amministrativo è affiancato da un’altra ragioniera, la quale si occupa di contabilità.

L’inquadramento contrattuale è il settore commercio IV livello, come la collega di ufficio.

L’orario di lavoro di 40 ore settimanali è rigorosamente rispettato, lo stipendio mensile viene erogato tramite assegno bancario non trasferibile a lei intestato.

In sintesi non esiste difformità di trattamento nei confronti della generalità  degli altri lavoratori subordinati.

Il lavoro della dipendente-socia viene  svolto  sotto le direttive dei 2 soci amministratori.

Alla luce  di quanto esposto, onde evitare gravosi contenziosi con gli Enti preposti, si può ritenere sussistente il rapporto di lavoro subordinato fra il socio-dipendente e la società di cui è socio?

Risposta

Punto di riferimento per la problematica in discussione è la circ. INPS n. 117 del 1983.

In essa si esclude, senza possibilità di appello, tale compatibilità nel caso delle società semplici.

Per quanto riguarda gli altri tipi di società personali (S.a.s. e S.n.c.), la circolare evidenzia la difficoltà, anche se non ne esclude la possibilità, di configurazione di un rapporto di lavoro subordinato per i soci che sono anche, per natura giuridica, amministratori della stessa società: è il caso, quindi, di tutti i soci delle S.n.c. e dei soci accomandatari delle S.a.s.

Inoltre, nelle società di persone è richiesto che il socio sia di maggioranza: anche in questo caso, infatti, avrebbe, secondo l’Istituto, una posizione di supremazia.

Molte meno difficoltà tecniche incontra, invece, il caso dei soci accomandanti delle S.a.s.

Tuttavia, in tutti questi casi (anche in quelli dei soci di S.n.c. e di soci accomandatari di S.a.s.), non si esclude a priori la possibilità del doppio rapporto socio/lavoratore subordinato; per l’ammissione sono richiesti fondamentalmente tre requisiti:

  1. La ricorrenza di tutti i requisiti tipici del rapporto di lavoro subordinato;
  2. La diversità di prestazioni tra quella di socio e quella di lavoratore subordinato;
  3. L’esistenza certa ed effettiva di controllo e di direzione da parte di altri organi sull’attività lavorativa del socio dipendente.

Secondo l’Istituto, inoltre, in tutte le società, siano esse di capitali che di persone, non può essere riconosciuto un rapporto di lavoro subordinato in capo all’Amministratore Unico, al Presidente del Consiglio di Amministrazione o ad un Amministratore Delegato, in quanto verrebbero ad essere subordinati di se stessi, cosa giuridicamente non possibile.

Nel caso concreto del quesito, tutto ciò si traduce in una risposta affermativa in quanto il socio non è di maggioranza (detiene una quota del 10%) e gestisce i rapporti con i dipendenti.

Restano da verificare, ovviamente, nel concreto, la presenza di una retribuzione, le modalità e le caratteristiche del pagamento della stessa rispetto a quelle osservate per il restante personale dipendente, il regime fiscale a cui vengono assoggettate queste somme, oltre al tipo di prestazione che, come detto, deve essere diversa da quella di socio.

Domanda

Un dipendente assunto a tempo pieno ed indeterminato chiede alla propria azienda un periodo di aspettativa non retribuita. Durante questo periodo, lo stesso dipendente può essere assunto a tempo determinato presso un’altra azienda?

Risposta

La risposta, in generale, in casi di questo tipo è senz’altro positiva. Infatti, non vi è allo stato attuale alcuna norma che vieti comportamenti in tal senso. Rimane, comunque, inteso che deve essere valutata di volta in volta la disciplina contrattuale rispetto alla richiesta ed alla concessione di  eventuali periodi di aspettativa, fatta salva comunque la validità del secondo contratto.

Il dipendente, inoltre, nell’esecuzione del secondo contratto di lavoro, dovrà sempre rispettare principi di fedeltà e buona fede rispetto al primo contratto.

Commissione del 25/11/2011

Domanda

Una società in nome collettivo è composta da 3 fratelli. Tutti i soci operano nella società artigiana e tutti e tre hanno una propria famiglia e una diversa residenza. E’ valido un contratto di lavoro dipendente stipulato tra la società e la figlia maggiorenne di uno dei soci? E se fosse stipulato tra la società e il coniuge di uno dei tre soci?

Risposta

            Posto che l’elemento qualificante del rapporto di lavoro dipendente è la subordinazione, intesa quale assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e gerarchico del datore di lavoro; occorre effettuare un apprezzamento complessivo del rapporto in relazione alle concrete modalità di svolgimento dello stesso, avendo anche riguardo all’effettiva volontà delle parti. La giurisprudenza, nel tempo, ha individuato una serie di indici rivelatori della subordinazione quali la presenza di direttive tecniche, i poteri di controllo e disciplinare, l’inserimento nell’organizzazione aziendale, la non assunzione del rischio d’impresa, l’utilizzo di materiali e attrezzature del datore di lavoro, l’osservanza di un orario, la continuità e sistematicità della prestazione, il pagamento della retribuzione a scadenze periodiche, ecc..

Rispetto al caso prospettato, dal momento che non sussistono espressi divieti da parte dell’attuale normativa, il contratto di lavoro subordinato è valido, purché sia genuino e non risulti un artificio riconducibile ad antecedenti pattuizioni delle parti.

Commissione del 25/11/2011